Domenica 19 giugno 2022, Solennità del Corpus Domini
Omelia di S. Ecc.za Mons. Domenico Cancian fam, vescovo emerito della Diocesi di Gubbio
vorrei che queste mie parole potessero aiutare a comprendere la bellezza della Messa, della comunione. Sono sicuro che, io e voi, la sottovalutiamo. E naturalmente ci perdiamo perché abbiamo bisogno, necessariamente bisogno, del pane che è Gesù. Il Vangelo appena letto (rif. Lc 9,11-17) ci parlava dell’episodio della moltiplicazione dei pani che è raccontato da tutti e quattro gli evangelisti (quindi è un racconto che viene attestato in maniera credibile); addirittura Marco e Matteo lo raccontano due volte per dire che questo episodio è importante; è anche simbolico: non è semplicemente un fatto di moltiplicare materialmente dei pani.
Nel racconto di Luca, questo episodio è preceduto da due momenti emotivamente ed affettivamente intensi per Gesù: era arrivata appena la notizia della morte, o meglio della decapitazione, di Giovanni Battista (cugino di Gesù) ucciso da Erode e possiamo immaginare come Gesù apprendendo questa notizia, ovviamente come uomo, senta tutto il dolore. Gesù nei vangeli è molto umano infatti piange, soffre, vive le gioie… è veramente molto umano. Possiamo immaginare la sofferenza di Gesù unita al fatto che lui sicuramente immaginava “adesso tocca a me”, e questo lo aveva chiaro. Vi era per Gesù anche un momento di gioia e di festa perché i discepoli erano tornati dalla prima missione alla quale lui li aveva mandati a predicare e guarire e loro, stupiti, avevano constatato come effettivamente facevano le cose di Gesù che ovviamente non erano alla loro portata. Arrivavano da Gesù per raccontare questa esperienza.
Gesù a questo punto invita i discepoli a salire sulla barca, a raggiungere l’altra riva del lago per condividere insieme queste emozioni, questi sentimenti forti di tristezza e di dolore da una parte e di gioia dall’altra. Quando Gesù sbarca coi discepoli si trova una folla davanti, migliaia di persone. Gesù non si sente infastidito e invece di dire “per favore, lasciateci in pace”, egli si mette prima ad insegnare, insegna tanto fino al far della notte. Gesù sembra non aver tempo per se e dedica il tempo proprio alla gente, parlando del Vangelo e guarendo i malati, svolgendo la sua attività. Quando i discepoli gli dicono che è il tempo di rimandare a casa la gente per mangiare, Gesù dice loro: “Date voi da mangiare”. I discepoli fanno i conti e notano come hanno solo due pani e due pesci, probabilmente la scorta per loro, una scorta minima. E Gesù invita a portarglieli ed inventa ed offre gratuitamente, di sua iniziativa, una cena. Questo è già umanamente importante ma è anche simbolicamente significativo. Gesù usa questi gesti belli, delicati, gentili e prega il Padre, benedice il pane e i pesci, li dà ai discepoli perché li distribuiscano alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e avanzano dodici cesti, numero simbolico che rimanda alle dodici tribù di Israele, cioè tutto il popolo e quindi non solo per i presenti. Quindi, un gesto gratuito, abbondante, gentile, offerto a tutti abbondantemente. Senza essere richiesto.
Gesù in questo gesto si fa presente come un Padre attento e generoso come farebbero un padre e una madre di fronte ai propri figli, offre da mangiare senza badare alla propria stanchezza e alla propria fame. La domanda è: ma Gesù avrà mangiato? Forse per ultimo ma sicuramente era preoccupato di sfamare la gente. Questo gesto è confermato dai Vangeli in altre modalità. Ad esempio, il primo miracolo raccontato da Giovanni è quello delle nozze di Cana dove Gesù, invitato dalla Madonna, ha cambiato l’acqua in vino per la gioia degli sposi, e poi tanti miracoli che riguardano la dimensione fisica dell’uomo. Dunque, la nostra fede, è una fede molto incarnata, molto vicina all’umano. Tra l’altro, noi saremo giudicati sulle opere di misericordia di cui la prima è date da mangiare agli affamati. Questa è un’opera molto concreta, molto alla nostra portata, ogni giorno. Possiamo aprirci agli altri e dar loro da mangiare a coloro che aspettano, anche senza chiedere, un aiuto.
La moltiplicazione dei pani, però, è segno non solo del dare da mangiare il pane per la nostra vita fisica, ma è segno del darsi in cibo, del donarsi. Non è semplicemente un dare qualcosa, ma un donarsi; in quel gesto mi dono io, è un donare se stessi, in un gesto anche piccolo, come fa Gesù nell’Eucarestia. Gesù benedice e prega: sono i gesti che riprendiamo nella Celebrazione dell’Eucarestia. In nome di Gesù cambiamo il pane nel Corpo di Cristo e il vino nel Sangue di Cristo e dice Gesù “prendetemi e mangiatemi”, non semplicemente “prendete e mangiate”; io sono quel pane, io sono quel vino, io voglio venire dentro di voi. Questo, fratelli e sorelle, è un gesto assolutamente unico, solo di Gesù, perché non c’è un equivalente nell’esperienza umana. Nessuno di noi, per quanto sfami un’altra persone, può dire “mangiami”. Sarebbe fuori dalla realtà. “Prendetemi e mangiatemi” è un gesto tutto e solo di Gesù tanto che non fu compreso quando lo disse e lo predisse e ancora oggi non è valorizzato a sufficienza – lo dico per me e per voi -.
Gesù dice: “è il pane mio che dà la vita eterna, e il pane attraverso il quale io posso rimanere in voi e io in me”, in una reciproca permanenza, inabitazione, che non ha un eguale. Un plausibile riferimento potrebbe essere il rapporto tra marito e moglie, ma qui è infinitamente più grande. Gesù, attraverso l’Eucarestia, ci dà la grazia di vivere con Lui e come Lui, ci trasforma e ci cambia, come cambia il pane e il vino, vuole cambiare la nostra vita e renderla simile alla sua, una vita che passa dall’egoismo all’amore. Questo è un cambio importante. L’eucarestia questo ci insegna e ci ricorda: come Gesù fa, fallo anche tu. Non solo ricevere l’Eucarestia, ma anche fare come ha fatto Gesù, trasformando la nostra vita. San Tommaso dice che questa è la più grande delle meraviglie del Signore.
Madre Speranza ha tre riferimenti molto belli in merito. L’immagine, il Crocifisso dell’Amore Misericordioso, dietro porta l’ostia; l’immagine di Maria Mediatrice davanti ad un giglio che sboccia contiene un ostia. Questo significa che Gesù in croce ha portato l’amore fino a farsi pane, non solo a farsi crocifiggere ma anche a farsi pane. Maria è colei che ha ospitato Gesù in maniera stupenda, ha portato Gesù nel suo cuore, come quella bellezza di un giglio che accoglie Gesù. Noi, dice ancora Madre Speranza, possiamo diventare tabernacoli vivi, fino a dire con San Paolo: “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me“. Diceva ancora la Madre: “State attenti a non perdere una comunione o una messa perché è veramente una grazia troppo importante”. Una comunione perduta non si può recuperare e noi, senza Gesù, non possiamo vivere. Non perdere dunque una messa! Non dovrebbe essere un peso, ma una gioia. Diceva ancora: “tre minuti davanti a Gesù mi aiutano a risolvere i problemi”. Le nostre situazioni, che pensiamo di poter risolvere in mille modi, arrabattandoci e poi magari complicandoci la vita.
Voglio concludere con l’esempio di Santa Chiara d’Assisi che, quando i Saraceni attaccarono, prese l’ostensorio con Gesù e si affacciò alla finestra facendoli allontanare. Io lo riferisco al tempo che viviamo, un tempo di guerra e di situazioni brutte a vari livelli: con il Cristo, con l’Eucarestia, possiamo superare ogni difficoltà, possiamo ritrovare la pace del cuore e il mondo può vivere nella fraternità.