“La risposta adeguata alla nostra vocazione è la santità della vita, ossia la perfezione della carità come presenza in noi dell’amore di Dio in totale uniformità al suo volere”. (Costituzioni)

Papa Francesco, ai partecipanti al raduno dei formatori di consacrati e consacrate l’11 aprile del 2015, diceva così: “È bella la vita consacrata, è uno dei tesori più preziosi della Chiesa, radicato nella vocazione battesimale”. E nell’incontro con tutti i religiosi e religiose, in data 21 novembre 2014, nell’occasione dell’apertura della Vita Consacrata evidenziava in modo determinante: “[…] siate profeti e non nel giocare a esserlo”. La profezia fa rumore, chiasso, qualcuno dice “casino”. Ma in realtà il suo carisma è quella di essere lievito: la profezia annuncia lo spirito del Vangelo”. E concludeva l’incontro con un appello chiaro, trasparente, emozionante: “Voi religiosi e religiose dovete svegliare il mondo”!

Ma cosa rappresenta nella Chiesa la Vita Consacrata?
E soprattutto è ancora possibile viverla nella società di oggi?

La vita consacrata è stata fin dai primi secoli del cristianesimo una componente importante della vita della Chiesa. Fin dal IV secolo, sono nate comunità che hanno raccolto uomini e donne desiderosi di vivere più intensamente i valori evangelici, in particolare la povertà, la castità e l’obbedienza.

Nella Chiesa si definiscono religiosi coloro che professano i tipici “consigli evangelici”, ossia i tre voti di povertà, castità e obbedienza. I tre voti corrispondono al modo di vivere scelto da Gesù Cristo nella sua vita terrena; dunque, tutti i religiosi, si propongono, innanzi tutto, di condividere la vita di Gesù Cristo e di essere l’immagine della Chiesa Sua Sposa. Il loro obiettivo specifico è poi la realizzazione del Carisma della propria famiglia religiosa, e gli Ordini sacri vengono dati loro in funzione di questo scopo. Pertanto, esiste la possibilità, a seconda degli istituti religiosi, che ci siano anche dei religiosi professi, dunque dei religiosi a tutti gli effetti, che però non sono anche sacerdoti, sono due cose distinte. Ancora meglio potremmo definire la vita consacrata come un perfezionamento della prima consacrazione, che è quella che avviene nel battesimo. In questo sacramento con l’unzione del crisma, ogni uomo viene consacrato a Dio, appartiene a Dio, Egli prende possesso di noi: “libera questo bambino dal peccato originale, rendilo tempio dello Spirito Santo” (1). La professione religiosa è la risposta per un verso dell’uomo, a questa prima consacrazione, vissuta poi in maniera esemplare.

Dopo questa breve “premessa”, necessaria per comprendere la natura dell’argomento che stiamo trattando, mi pare fondamentale arrivare a definire in maniera determinante il cuore della vocazione alla vita consacrata, che trovo in quelle meravigliose parole scritte nell’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis: “Il contributo essenziale che la Chiesa si aspetta dalla vita consacrata è molto più in ordine all’essere che al fare” (2).

Quindi cerchiamo di approfondire questa “linea di impostazione” e domandarci invece perché la vita religiosa è davvero importante oggi?

Sappiamo che la mentalità nella quale ci troviamo a vivere tutti quanti e nella quale siamo immersi, ci porta a considerare come reale, come vero, soltanto quello che può essere sperimentato. La scienza è in grado di spiegare tutto, quello che io vedo è vero, quello che io non riesco a far ricadere sotto i miei sensi o che io non riesco a quantificare anche con un modello matematico, appartiene al campo delle ipotesi. In questo modo, l’uomo contemporaneo assume come paradigma soltanto ciò che “è reale e concreto”, ossia quello che è sensibile, questo vuol dire che c’è tutto un mondo spirituale che in realtà è come non esistesse, non è vero, rientra nel mondo delle ipotesi, può essere come può non essere.

Se l’universo dell’uomo è soltanto “orizzontale” noi andiamo incontro ad un fallimento certo, perché parliamo un linguaggio che i nostri “ascoltatori” non sono in grado di recepire, perché sono collocati su un’altra lunghezza d’onda. Questa impostazione esistenziale è la classica situazione in cui l’uomo vive, secondo una nota espressione: “come se Dio non esistesse”. Noi abbiamo tutto “un mondo” che vive perseguendo questi valori, ma a fronte di questo, abbiamo anche, per fortuna, una serie di persone che vive come se Dio esistesse e consacrano la propria esistenza a Dio. Queste persone riconoscono nella povertà, nella castità e nell’obbedienza, le caratteristiche salienti della vita di Cristo, i tratti fondamentali, le grandi linee che hanno definito la vita di Gesù e scelgono di imitare Gesù con una vita povera, casta ed obbediente.

Emettendo la propria professione religiosa, i religiosi e le religiose che cosa fanno?

Confessano concretamente davanti al mondo che nega Dio, che Dio invece può essere la strada per raggiungere la felicità. Quello che mi pare di fondamentale importanza, è che nella professione dei consigli evangelici, non viene scelto un’ideale di vita, non abbraccio la povertà, non abbraccio la castità, non abbraccio l’obbedienza, ma io scelgo Cristo povero, casto ed obbediente. Il cristianesimo, infatti, è l’incontro con una persona (3).

Perché?

Perché è proprio la testimonianza che si può vivere completamente immersi in Dio è uno dei pochi linguaggi che l’uomo contemporaneo può riuscire a comprendere, e la capacità di convincimento, la capacità di incidere, è molto più forte se è un gruppo di persone che condivide lo stesso “ideale.” Un conto è una sola persona che può apparire come un “esaltato” che sceglie di vivere la povertà, la castità e l’obbedienza, altro conto è un gruppo di persone che si ritrova insieme per vivere questa imitazione di Cristo. Non è più un fenomeno isolato, ma è un fenomeno collettivo, è una testimonianza collettiva, che ha un linguaggio molto più eloquente.

Allora, perché ci si consacra?

Perché la consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici non ha altro fine che quello di condurre il consacrato a conformarsi sempre più a Cristo. La vita religiosa ricorda a tutti la necessità di porsi alla sequela di Cristo in maniera radicale, vuole testimoniare che Dio può essere davvero il nostro unico bene, ossia che soltanto in Dio noi troviamo la nostra piena realizzazione, solo Dio può saziare il mio cuore.

Il Sal 16 dice testualmente: “Il Signore è mia parte” e forse questo è il vero fondamento della vita religiosa, ossia il Signore è mia parte, come avvenne dopo la presa di possesso della terra promessa delle tribù in Israele. Solo la tribù di Levi non riceve alcun terreno, la sua terra è “Dio stesso”, per Levi, Dio è il centro di tutto, ossia Dio è il fondamento della sua vita. Come le altre tribù traevano vita, si sostenevano dal lavoro della terra, vivevano della terra, così la tribù di Levi “viveva” di Dio. La vita religiosa può essere vissuta in pienezza soltanto se Dio è la “mia terra”, soltanto se Dio è realmente la realtà totalizzante della mia vita. In questo senso possiamo anche osare nel dire, che la vita religiosa oggi può addirittura avere un significato “apologetico”, può essere un modo di vita per dimostrare l’esistenza di Dio al mondo di oggi. Il consacrato vivendo tutta la vita in Dio, dimostra concretamente che Dio è il fondamento della sua esistenza, la scelta della consacrazione “difende” l’esistenza di Dio, che Dio non è un’ipotesi, ma una realtà vera.

Da qui deriva il richiamo carismatico inserito nelle Costituzioni dei FAM:  “La professione è l’atto con cui ci doniamo totalmente all’Amore Misericordioso come figli e servi suoi, impegnando tutta la nostra vita nel perseguire le finalità della Congregazione, secondo il suo spirito. È l’impegno reciproco del religioso che entra a pieno titolo a far parte della Congregazione, e di questa che l’accoglie con gioia per condurlo verso la pienezza della carità, secondo le Costituzioni” (4). Il fatto di vedere persone che fondano la loro vita esclusivamente su Dio, impegnandosi totalmente per Dio, può rimettere in gioco Dio nella vita di tante persone che lo hanno abbandonato o che non credono più in Lui. Il papa emerito Benedetto XVI nel suo libro Gesù di Nazaret dice: “Nella Chiesa devono sempre esserci persone, che abbandonano tutto per seguire il Signore, persone che in modo radicale si affidano a Dio, persone cioè che in questa maniera profondono un segno di fede che ci scuote dalla nostra spensieratezza e debolezza nel credere”.

Chi sono, allora, i religiosi della Congregazione dell’Amore Misericordioso?

Sono tutti coloro che hanno trovato Gesù Amore Misericordioso, si sono fermati con Lui, non c’è altro da fare o da cercare, c’è solo da vivere in pienezza quell’incontro. Sono chiamati a testimoniare nella società di oggi la possibilità e la certezza di una trasformazione della storia e delle relazioni, a livello profondo, basata sull’amore gratuito, sulla misericordia ricevuta e donata: “Fà, Gesù mio, che i figli e le figlie comprendano ogni giorno di più che il fine per il quale li hai chiamati a entrare nella Congregazione è quello di darti gloria, santificando se stessi e coloro che li avvicinano, e che il fine delle anime fervorose è fare di te il centro della loro vita. Gesù mio, aiutali affinché tutti arrivino ad unirsi fortemente a Te” (5). In una lettera datata 21 Novembre 1942 della Madre Speranza troviamo scritto: “Care figlie, è necessario, che vi conformiate a Lui e che rinunciate a tutto, dimenticandovi di voi stesse per essere tutte per Lui come Lui è tutto per voi; non dovete cercare altro fuori di Lui e il vostro distintivo deve essere: amare e soffrire” (6).

Sono, infine, coloro che hanno spalancato a Dio le porte del cuore e della vita, donandosi totalmente, senza riserve, e rinnovando ogni istante dinamicamente questo dono in maniera che si riversi nella vita, nella storia, nel servizio, senza restrizioni, senza veti, senza stanchezze. La loro vita di sequela non è altro che questo; non è un generico stare bene con se stessi, ma un dare, un donare la propria vita, amare fino alla fine, offrire la propria vita, avendo gli stessi sentimenti che furono in Cristo. I nostri giorni hanno ormai bisogno di araldi del Vangelo esperti in umanità, che conoscano a fondo il cuore “ferito” da tante lacerazioni dell’uomo di oggi, ne partecipino gioie e speranze, angosce e tristezze, e nello stesso tempo siano dei contemplativi innamorati di Dio, non solo per annunciare l’immensa misericordia del Padre, ma per testimoniare anche con la propria vita l’immagine di Cristo che si offre e si dona per amore. Una tale missione può essere compiuta solo da persone con una vera povertà in spirito, che siano miti ed umili, misericordiosi, puri di cuore, decisi ad offrire la vita per Cristo, sorretti dalla forza della sua grazia. Ecco perché poi, la spiritualità dell’Amore Misericordioso, è tutta incentrata sul dono totale di sé a Dio, ovvero nell’obbedienza alla sua volontà e nella misericordia ai nemici.

Qui sta il senso della loro vocazione alla vita consacrata: dare alla chiamata di Dio, una risposta di una dedizione “eucaristica” totale ed esclusiva!

Carissimi Figli e Ancelle dell’Amore Misericordioso… grazie della vostra presenza e testimonianza nella Chiesa…grazie per esserci sempre, grazie per l’amore e la misericordia che diffondete nel mondo… grazie per essere profezia di condivisione con i piccoli e i poveri… grazie per essere gli “angeli” della tenerezza di Dio… grazie per il dono della vostra vita. Non posso pronunciare tutti i vostri nomi, ma su ciascuno e ciascuna di voi chiedo la benedizione del Signore affinché siate i nuovi samaritani di questi giorni… custodi dell’Amore Misericordioso per ogni uomo.

Il Signore chiama solo per rendere felici… Dio vi ricompensi!

Roberto Lanza, diacono

 

  1. Rito del Battesimo
  2. Enciclica Sacramentum Caritatis n° 81
  3. Enciclica Deus caritas est n° 1
  4. Cost. FAM, Parte I, Cap. III, art.30
  5. Reflex 42
  6. El Pan 19 cart. 1411-1418

Articolo estratto dalla Rivista L’Amore Misericordioso, Anno LXIII, Giugno 2022.