Tra pochi giorni sarà il 15 agosto, un giorno importante per la Congregazione di cui faccio parte perché veniva fondata nel 1951 in questa data dall’oggi Beata Madre Speranza. È questo il motivo per cui la mia professione perpetua la farò il 15 agosto. Ma come sono arrivato sin qui? Per poter rispondere a questa domanda non basterebbe un quaderno, ma cercherò in modo sintetico di raccontare la mia storia. In questa storia i protagonisti principali sono ovviamente Dio, i sacerdoti e il Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza.
Sono nato e cresciuto in un quartiere molto povero e difficile della mia amata Caltanissetta, un quartiere pieno di problematiche a livello sociale e luogo in cui la presenza preponderante è quella della criminalità più che delle Istituzioni Statali. In questo clima di guerriglia urbana il mio unico rifugio, come per altri tanti ragazzi, è stata la parrocchia. Era notevolmente e attivamente frequentata e alcuni parrocchiani s’impegnavano nel toglierci dalla strada per permetterci di stare in un luogo dal clima spensierato e adatto alla nostra età, con un sacerdote che ci accoglieva come fossimo a casa nostra. Non è il classico sacerdote da canone del perfetto presbitero tanto in voga oggi: non era sicuramente simpatico, non era molto loquace nel parlare e se doveva rimproverarti non ci pensava due volte.
Da questi incontri, col passare del tempo, in me è nata un’irrequietudine e un travaglio che mi ha accompagnato per un bel tratto della mia vita. Ero attratto da quella testimonianza e iniziavo a sentirmi chiamato da Dio, iniziavo a valutare la possibilità di iniziare un cammino che mi introducesse alla vita sacerdotale, ma avevo solo 9-10 anni. Al momento opportuno, a ridosso del bivio che mi permetteva di poter scegliere di entrare in seminario minore, purtroppo molte cose in me erano cambiate e tante ne sarebbero cambiate ancora: avevo cambiato casa e quartiere, in pochi anni avevo cambiato anche due comunità parrocchiali e due parroci tra cui uno, rientrava nel mio ideale di sacerdote, mentre il secondo aveva distrutto in me quell’immagine idealistica portandomi ad una profonda crisi che, associata ad altri avvenimenti familiari e altro, mi portarono ad una chiusura interiore. Il risultato fu l’abbandono di qualsiasi tipo di vita parrocchiale, l’abbandono del desiderio del seminario ovviando per un I.T.I. Iniziarono per la mia famiglia anni difficili a causa mia e per me si avviò una lotta con Dio non riuscendo più a comprendere quale fosse il suo vero volto. Arrivai fino ad un rifiuto totale di Lui per anni.
Dopo diverse fughe e molteplici “no” di risposta alla chiamate di Dio, quando credevo di raggiungere finalmente gli obiettivi prefissati per una vita felice, mi ritrovai con un pugno di mosche poiché altro non avevo guadagnato se non una grande voragine interiore causata dal non senso di quella strada che stavo percorrendo. Da questo malessere nacque il coraggio di ripormi in una relazione con Dio e rimettendo in discussione quel desiderio remoto che mi abitava. Dopo quasi 15 anni ripresi la frequentazione della S. Messa, la partecipazione ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucarestia, ripresi a partecipare ad alcuni incontri di catechesi.
La fase successiva fu quella di iniziare un cammino di discernimento vocazionale ma non all’interno della Famiglia dell’Amore Misericordioso (della quale non conoscevo nemmeno l’esistenza), ma in una diocesi per prepararmi a diventare sacerdote infatti, una delle “condizioni” che avevo posto a Dio era di seguirlo ma ben lontano dai frati. Come non detto, i piani di Dio sembrano realizzare sempre l’opposto. L’anno successivo, agli inizi del 2015, ritorno a Caltanissetta per un periodo di riposo a seguito di un intervento chirurgico con l’attesa nel cuore di accedere al seminario nel mese di settembre. Il sacerdote che diversi anni prima mi aveva messo in crisi sulla scelta del seminario, si ripone sul mio cammino e torna nuovamente a mescolare le carte della mia vita; dopo una chiacchierata nella quale mi parlò di una certa Madre Speranza, mi propose, nell’attesa del mio fatidico ingresso in seminario, di fare un’esperienza estiva a Collevalenza, presso il Santuario dell’Amore Misericordioso. Ricordo che risi al comprendere che si trattasse di un’esperienza in un ordine religioso ed ero pronto a bocciargli la proposta ma lui, precedendo le parole sul mio intento, con sguardo serio mi disse che invece di perdere tempo avrei fatto qualcosa di utile chiedendo a Dio cosa volesse insegnarmi attraverso questa esperienza. Mi convinse. Partii.
I primi giorni furono un po’ traumatici, architettavo una fuga. Un giorno però, l’allora rettore del Santuario, mi chiese di accogliere i pellegrini che giungevano in pellegrinaggio al Santuario. Fu quell’esperienza che cambiò il mio cuore. Da quel giorno decisi di rimanere e, per di più, nacque in me il desiderio di approfondire quel volto “nuovo di Dio” che avevo conosciuto, di un Padre buono che ama i propri figli, tra i quali io mi riconoscevo come il più bisognoso. Nacque in me una nuova irrequietudine che mi portò alla ferma decisione di rinunciare al seminario per iniziare un cammino di discernimento vocazionale tra la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso.
Questo cammino lo paragono ad un’altra esperienza che ho avuto la grazia di poter fare nelle scorse settimane: una bella passeggiata, o meglio scalata, in montagna. Aspettavo con ansia questo giorno e con altri tre confratelli ci siamo avviati in una riserva naturale della Romania avendo come meta la vetta. Dopo circa un’ora e mezza di pura salita, le mie gambe hanno iniziato ad addormentarsi. Per me la vetta diventava qualcosa di sempre più irraggiungibile e, preso da questa preoccupazione, chiesi al mio confratello che conosce bene quel luogo quanto mancasse alla destinazione. Mi sentii rispondere: “Due ore e mezza!”. La preoccupazione si trasformava in paura, e da lì a poco sarebbe diventata sconforto. Fu quello il momento però in cui i miei confratelli mi diedero coraggio, aiutandomi e dandomi la certezza che anch’io avrei visto la cima del monte. È stato così. Ho raggiunto la vetta ed il panorama era stupendo.
Attraverso questo cammino religioso, Dio mi ha fatto conoscere la bellezza del suo Amore Misericordioso per l’uomo, una strada di scoperta impegnativa e non scontata, ma soprattutto percorsa anche da altri coi quali potersi al termine godere il panorama dell’amore. Questo Amore cresce, si manifesta e si rafforza in una comunità. Far scoprire ai sacerdoti la bellezza della vita comunitaria e di una famiglia che ti accoglie, ti sostiene, ti protegge e ti motiva soprattutto nei momenti più difficili, e anche la missione di noi Figli dell’Amore Misericordioso. Tale consapevolezza l’ho acquisita negli anni di formazione e discernimento che mi hanno condotto a scoprire che la vera chiamata di Dio per me è quella di abbracciare la vita religiosa, di consacrarmi definitivamente a Dio attraverso la professione perpetua quale via per raggiungerLo, attraverso anche, in seguito, il servizio del ministero ordinato. La mia vita di Figlio dell’Amore Misericordioso trova chiara espressione dal versetto slogan che mi accompagna giorno dopo giorno alla mia consacrazione definitiva del 15 agosto: “Annunzia ciò che ti ho fatto e la misericordia che ho avuto per te” (cfr. Mc 5,19b).
Fr. Rosario Marino
Figlio dell’Amore Misericordioso