«MI È STATA USATA MISERICORDIA» (1Tm 1,13)

IL RISVOLTO ECCLESIALE

Entrambe le lettere magisteriali [Dives in misericordia e Misericordia et misera] riservano al loro interno un grande spazio nel quale esplicitano la necessità di manifestare pienamente la misericordia all’interno della missione stessa che la Chiesa ha ricevuto da Cristo. Emergono differenti luoghi e modalità nei quali la misericordia è chiamata a risplendere dimostrandosi il vero cuore della Chiesa.

L’ambito liturgico sacramentale diviene il luogo per eccellenza nel quale la Chiesa professa e proclama la misericordia di Dio. La Parola di Dio, impregnata dell’agire misericordioso di Dio con l’antico e nuovo popolo dell’alleanza, diviene testimonianza per la Chiesa che, su quell’esperienza, professa a sua volta la misericordia di Dio nel Cristo. La Parola è l’iniziale fonte per il credente nella quale poter scoprire l’amore del Padre e dalla quale esigere una personale esperienza della misericordia. Una grande occasione – sottolinea Misericordia et misera – è certamente la Celebrazione Eucaristica in cui la Parola, chiamata sempre più ad essere scoperta e valorizzata, non è unicamente proclamata ma anche predicata: diviene pertanto fondamentale da parte del credente la dimensione dell’ascolto di tale Parola/annuncio in sé, portatrice di un messaggio universale di salvezza, e dell’omelia che ha il compito di «far vibrare il cuore dei credenti dinanzi alla grandezza della misericordia»[1]. Dall’esperienza comunitaria della Celebrazione Eucaristica alla quale ognuno prende parte con una partecipazione attiva, scaturisce l’esigenza di un’esperienza personale che ha luogo nel sacramento della riconciliazione:

«La Chiesa vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia – il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore – e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice. […] È il sacramento della penitenza o riconciliazione che appiana la strada ad ognuno, perfino quando è gravato di grandi colpe. In questo sacramento ogni uomo può sperimentare in modo singolare la misericordia, cioè quell’amore che è più potente del peccato»[2].

E ancora:

«La celebrazione della misericordia avviene in modo del tutto particolare con il Sacramento della Riconciliazione. È questo il momento in cui sentiamo l’abbraccio del Padre che viene incontro per restituirci la grazia di essere di nuovo suoi figli. […] La grazia, ci precede sempre, e assume il volto della misericordia che si rende efficace nella riconciliazione e nel perdono. Dio fa comprendere il suo immenso amore proprio davanti al nostro essere peccatori»[3].

Le due citazioni esprimono concordemente la grande portata insita in tale sacramento, anche chiamato “di guarigione”: luogo di scoperta non di un concetto ma di una realtà, non di una teoria ma di un volto, quello di Dio Amore Misericordioso. Il sacramento apre al credente la possibilità di imboccare la strada della conversione, gli offre l’opportunità di ritornare a Dio il quale non si stanca di cercare ed inseguire i suoi figli con un instancabile amore. La centralità che tale sacramento ha particolarmente rivestito nel Giubileo straordinario della misericordia ha portato papa Francesco a porre una particolare e diretta esortazione nei confronti dei sacerdoti i quali, in quanto dispensatori a nome della Chiesa della misericordia, sono invitati ad essere sempre più consapevoli della loro missione e del loro ruolo.

«Ai sacerdoti rinnovo l’invito a prepararsi con grande cura al ministero della Confessione, che è una vera missione sacerdotale. Vi ringrazio sentitamente per il vostro servizio e vi chiedo di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono»[4].

Le caratteristiche del ministro elencate, seppur in apparenza non facilmente attuabili umanamente, dimostrano quanto questo sacramento (come gli altri) debba essere un punto di riferimento per il credente nel quale ha la certezza di poter incontrare Dio, luogo nel quale la miseria e la fragilità umane accolgono l’occasione di poter fare esperienza di misericordia. Questo nel sacerdote, può scaturire nel momento in cui egli stesso fa memoria della sua condizione di «peccatore, ma ministro di misericordia»[5].

La carità diviene il luogo, poi, nel quale poter dar frutto a quel dono ricevuto che è il perdono o, meglio, è il perdono stesso che viene pienamente ottenuto nel momento in cui l’amore ricevuto si trasforma in un atteggiamento di carità verso il prossimo. Il perdono è chiamato a divenire la trama delle plurime relazioni umane, manifestazione di un amore che sovrabbonda sul peccato e nel quale la giustizia non è sopraffatta ma, anzi, innestata nella misericordia che si apre ad una condanna del male e ad un’esperienza dell’amore.

«Cristo crocifisso, in questo senso, è per noi il modello […]. Sulla base di questo modello, dobbiamo anche purificare continuamente tutte le nostre azioni e tutte le nostre intenzioni in cui la misericordia viene intesa e praticata in modo unilaterale, come bene fatto agli altri. Solo allora, in effetti, essa è realmente un atto di amore misericordioso: quando, attuandola, siamo profondamente convinti che, al tempo stesso, noi la sperimentiamo da coloro che la accettano da noi. Se manca questa bilateralità, questa reciprocità, le nostre azioni non sono ancora autentici atti di misericordia»[6].

Tale carità, precisa Misericordia et misera, prende la forma di consolazione verso coloro che soffrono, che vivono immersi in situazioni di solitudine o di sofferenza o di incomprensione. La consolazione si dimostra una manifestazione di quella personale vicinanza che Dio continuamente garantisce all’uomo. La consolazione può, delle volte, mutarsi in silenzio, «un’opera concreta di condivisione e partecipazione alla sofferenza del fratello»[7]. La carità, inoltre, si concretizza nell’attuazione di tutte quelle opere di misericordia, corporali e spirituali, quali espressione della compassione di Cristo verso gli uomini. Il riscontro sociale dell’esperienza della misericordia, deve generare quella che papa Francesco chiama la cultura della misericordia:

«una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. […] La cultura della misericordia si forma nella preghiera assidua, nella docile apertura dell’azione dello Spirito, nella familiarità con la vita dei santi e nella vicinanza concreta ai poveri. È un invito pressante a non fraintendere dove è determinante impegnarsi. La tentazione di fare la “teoria della misericordia” si supera nella misura in cui questa si fa vita quotidiana di partecipazione e di condivisione»[8].

[1] Francesco, Misericordia et misera, n. 6, § 1591.

[2] Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, n. 13, § 931.

[3] Francesco, Misericordia et misera, n. 8, §1594.

[4] Francesco, Misericordia et misera, n. 10, § 1597.

[5] Ibidem.

[6] Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, n. 14, § 939.

[7] Francesco, Misericordia et misera, n. 13, § 1605.

[8] Ivi, n. 20, § 1616-1617.