«MI È STATA USATA MISERICORDIA» (1Tm 1,13)

L’ESPERIENZA BIBLICA DELLA MISERICORDIA

La misericordia[1], nell’Antico Testamento, si rivela quale agire proprio di Dio nei confronti del popolo eletto, Israele, col quale Dio stipulò un’alleanza che diverse volte venne infranta. Quando il popolo «prendeva coscienza della propria infedeltà – e lungo la storia d’Israele non mancarono profeti e uomini che risvegliavano tale coscienza –, faceva richiamo alla misericordia»[2]. Dio è, dunque, Colui che si pone in una relazione stretta con un popolo al quale chiede amore e fedeltà e che, per misericordia, intende liberare dalla schiavitù dell’oppressione. L’esodo acquisisce un valore paradigmatico e diviene occasione per conoscere Dio come misericordioso (cfr. Es 34,6), ovvero come Colui che agisce in favore di questo popolo destinatario della speciale potenza dell’amore di Dio, capace di prevalere sia sul peccato che sull’infedeltà. Il popolo fa esperienza dell’amore misericordioso, fa conoscenza di Dio che è Padre e che con “viscere di misericordia”, ha accolto e fatto crescere nel suo grembo ciascuno di noi per dimostrarci il suo amore, ci ha generato e ci ha donando il suo Figlio e lo Spirito Santo.

«In Cristo e mediante Cristo, diventa anche particolarmente visibile Dio nella sua misericordia, cioè si mette in risalto quell’attributo della divinità che già l’Antico Testamento, valendosi di diversi concetti e termini, ha definito “misericordia”. […] Egli stesso la incarna e la personifica. Egli stesso è, in un certo senso, la misericordia»[3].

La vicenda storica di Gesù è stata l’incarnazione della misericordia: il suo essere, il suo agire, il suo operare e il suo parlare erano l’occasione per i discepoli e per tutti i suoi contemporanei di poter contemplare il volto del Padre (cfr. Gv 14,8-11). Due, tra i tanti possibili, sono i racconti neotestamentari che la lettera enciclica Dives in Misericordia (30 novembre 1980) di papa Giovanni Paolo II e la lettera apostolica Misericordia et misera (20 novembre 2016) di papa Francesco, pubblicata a conclusione dell’anno giubilare straordinario della misericordia, fanno emergere tra le loro righe per esprimere quello che la misericordia è, ovvero un incontro tra la povertà umana – in tutte le sue forme – e Gesù che si fa prossimo dell’uomo infatti, «la misericordia non è solamente la generosità del Figlio di Dio, ma la sua vocazione a essere compagno, fratello, padre e madre di ogni creatura. […] La misericordia è una rivolta della vita contro la morte»[4]. L’episodio riportato nella Dives in Misericordia è quello parabolico del figliol prodigo o, come la stessa traduzione CEI 2008 della Bibbia preferisce, del padre misericordioso (Lc 15,11-32). La duplice possibilità di intitolare la parabola, è possibile ritenerla frutto di quel progressivo “innalzamento dello sguardo” che la stessa Chiesa ha compiuto nell’ultimo secolo, uno sguardo capace di riconoscere in Dio la sorgente della misericordia, con una portata fresca e nuova. In un rapporto analogico, la parabola è presenta nell’enciclica come: 1) attuazione della misericordia sperimentata dall’infedele popolo d’Israele, «un’analogia che consente di comprendere più pienamente il mistero stesso della misericordia, quale dramma profondo che si svolge tra l’amore del padre e la prodigalità del figlio»[5]; 2) rimando dei beni materiali a ciò che vi è di più profondo e fondamentale nella vita dell’uomo, ovvero la sua dignità, bisognosa di essere rialzata da quel padre/Padre che resta «fedele alla sua paternità, fedele a quell’amore che da sempre elargiva al proprio figlio»[6].

Il secondo racconto, riportato questa volta in Misericordia et misera, è l’incontro di Gesù con l’adultera (cfr. Gv 8,1-11) col quale il pontefice desidera prospettare il cammino della Chiesa alla luce del Giubileo straordinario vissuto in tutto il mondo ricordando che, come avvenne per la donna dinanzi a Gesù, «una volta che si è rivestiti della misericordia, anche se permane la condizione di debolezza per il peccato, essa è sovrastata dall’amore che permette di guardare oltre e vivere diversamente»[7].

Da questi racconti è possibile evincere due primi iniziali elementi che entrambi i documenti intessono tra le loro righe: uno ontologico e l’altro pastorale. Il primo elemento è riferito all’essere di Dio, Egli che è l’Amore (1Gv 4,8b); questa verità è la sola capace di poter illuminare la Scrittura per divenirne, di essa, la chiave di lettura. Un amore incarnato è quello di Gesù che, in quanto tale, non trova limiti nella sua libertà e si dona totalmente, un amore che non solo si fa carne ma abbraccia la condizione dell’uomo fino in fondo (Gv 13,1) e nel momento culminante della sua offerta al Padre offre, ancora una volta, parole di perdono.

«Il perdono è il segno più visibile dell’amore del Padre, che Gesù ha voluto rivelare in tutta la sua vita. Non c’è pagina del Vangelo che possa essere sottratta a questo imperativo dell’amore che giunge fino al perdono. […] Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono. È per questo motivo che nessuno può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato»[8].

Il secondo elemento, di carattere più pastorale, nasce da un atteggiamento: il vedere. Il figliol prodigo e l’adultera divengono luoghi e modelli nei quali poter contemplare come agisce la misericordia di Dio quale «azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita»[9]. Il “vedere” da parte di Dio e il prendere in considerazione la condizione di miseria e di povertà dell’uomo – quale azione previa al suo agire misericordioso –, il suo “chinarsi” su tale condizione e il suo “gioire” per il ritrovamento dell’uomo nella sua verità più profonda, sono chiamati ad essere gli atteggiamenti intorno ai quali la stessa Chiesa, anch’essa destinataria di misericordia, è chiamata ad essere «una comunità dispensatrice di misericordia, un segno e uno strumento di riconciliazione per l’umanità»[10].

[1] Nell’Antico Testamento sono due i termini che intendono esprimere la misericordia di Dio: hésed (חֶסֶד), “atteggiamento di bontà” che esprime la volontà di Dio di porsi in relazione col popolo d’Israele, un popolo scelto ed eletto, che non mancherà occasione per infrangere l’alleanza stipulata con Dio alla quale, in virtù della sua misericordia, Egli resta fedele; rahamìm (רחמים), interpretabile come “viscere” di misericordia, espressione di un amore materno di Dio verso il suo popolo, un amore buono, tenero, paziente, compassionevole, pronto al perdono e paziente nell’attesa: cfr. P. Coda, Dalla Trinità. L’avvento di Dio tra storia e profezia, Città Nuova, Roma 2011, 169-170.

[2] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica sulla misericordia divina Dives in Misericordia, in Enchiridion Vaticanum, VII, Documenti ufficiali della Santa Sede 1980-1981, EDB, Bologna 198513, 780-883, n. 4, § 875.

[3] Ivi, n. 2, § 862.

[4] D. Cancian (a cura di), Nella luce della misericordia (Rachamim Misericordia, Percorsi 2), Ancora, Milano 2014, 33.

[5] Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, n. 5, § 887.

[6] Ivi, n. 6, § 893.

[7] Francesco, Lettera apostolica a conclusione del Giubileo straordinario della misericordia Misericordia et misera (20 novembre 2016), in Enchiridion Vaticanum, XXXII, Documenti ufficiali della Santa Sede 2016, EDB, Bologna 2019, 1166-1209, n. 1, § 1581.

[8] Ivi, n. 2, §1582-1583.

[9] Francesco, Misericordia et misera, n. 2, § 1583.

[10] Francesco, Omelia (24/04/2022), in < https://tinyurl.com/yckztcjc > (data di accesso: 24/05/2023), n. 2. Lo stesso papa Francesco, in una Esortazione Apostolica, precisa che la Chiesa ha la sua missione specifica nel rendere presente la misericordia agli uomini, deve vivere desiderando questo in quanto ella stessa è stata la prima destinataria della misericordia di Dio. Deve pertanto saper prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare: rif. Francesco, Esortazione Apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale Evangelii Gaudium (24 novembre 2013), in Enchiridion Vaticanum, XXIX, Documenti ufficiali della Santa Sede 2013, EDB, Bologna 2015, 1188-1333, n. 24, § 2130.