La consegna ai suoi discepoli del nuovo comandamento – che non contraddice i precedenti consegnati a Mosè sul Sinai ma, anzi, li porta a compimento – si innesta nello scenario dell’Ultima Cena dopo la lavanda dei piedi. È il punto nel quale prende inizio l’atto di consegna che Cristo fa di se stesso per la salvezza degli uomini e la motivazione è singolare, ovvero l’amore. Il gesto di Gesù è un gesto di amore, un amore che giunge fino in fondo e che lo conduce all’offerta di se (rif. Gv 13,1). Qui trova luce l’aggettivo “nuovo” che inseriamo tra la parola comandamento e la parola amore: il perno di tutto il messaggio lasciato come insegnamento a quella che sarebbe divenuta la prima comunità cristiana è nell’espressione “come io vi ho amati”.
L’amore con cui ama Gesù è certamente il vertice della rivelazione di Dio ed è con questo stesso amore che siamo chiamati ad amare il nostro prossimo. Con la consegna del comandamento nuovo, Gesù sembra consegnare ai suoi discepoli una carta d’identità, un motto identificativo che possa distinguerli nel mondo: egli consegna loro (e quindi anche noi) la scienza e la pratica dell’amore del quale Egli darà dimostrazione. L’amore altro non è che quel gesto di liberazione dal proprio io che apre alla prospettiva sull’altro, tant’è che “partendo dall’ultima cena e dalla risurrezione, potremmo asserire che proprio la croce è l’estrema radicalizzazione dell’amore incondizionato di Dio – amore in cui, nonostante ogni negazione da parte degli uomini, Egli dona se stesso” (J. RATZINGER – BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret).
A riguardo Madre Speranza asseriva: “Basta uno sguardo alla croce per comprendere il linguaggio di Gesù: è il linguaggio dell’amore che tutti capiamo subito. Ha il capo chino per il bacio, il cuore ferito in segno di amore, le braccia aperte per abbracciarci e tutto il corpo offerto per salvarci. L’immagine di Gesù in croce deve essere la preferita e la più eloquente di tutte” (Beata Speranza di Gesù; El pan 7, nn. 375-376).
L’amore portato da Gesù all’estremo della sua essenza e messo in atto nella sua fedeltà al Padre nell’ignominia della croce facendo dono della sua stessa vita per noi peccatori, diviene la ragione e il paradigma della vita della Chiesa perché proprio la fedeltà di Gesù alla sua missione costituisce la ragione del cammino della Chiesa universale.
“Se amiamo, riveliamo Dio e quindi dall’amore e solo dall’amore gli altri possono riconoscere che siamo discepoli di colui che ha rivelato Dio come amore e misericordia. […] La conoscenza di Dio è legata all’esercizio dell’amore. Se amiamo con amore teologale, conosciamo Dio e lo riveliamo. Facciamo cioè percepire che in gioco nella vita e nella storia c’è un’energia più grande e una forza immensa: la potenza della Vita” (AA. VV, Da questo vi riconosceranno, Ancora 2002).