Molte volte capita di rimanere sbalorditi dinanzi al dialogo tra Gesù e Pilato (Mt 27,11-14; Mc 15,1-5; Lc 23,3; Gv 18,33-37) infatti l’interrogatorio verte su un tema squisitamente politico, quello della presunta regalità di Gesù: per diverse volte si ripete l’espressione “re dei Giudei”, nei cui confronti Gesù si rivela piuttosto reticente.

Già per il popolo d’Israele nell’Antico Testamento, l’esperienza della regalità di JHWH nella storia è una caratteristica essenziale della religione ebraica. Coi temi della promessa e dell’alleanza, quello della regalità di Dio è un caposaldo per Israele. L’idea di Regno rimane ugualmente importante per il Nuovo Testamento dove rappresenta l’adempimento delle intenzioni di salvezza di JHWH verso le speranze di Israele e di tutta l’umanità. La regalità di Dio si è quindi espressa nell’Antico Testamento attraverso le mediazioni di salvezza e nel Nuovo Testamento nella persona di Gesù. La novità da parte di Gesù mette l’accento sulla dimensione futura e la presenzialità attuale del Regno. Il Regno di Dio si è avvicinato, fa sentire i suoi effetti e nello stesso tempo si compirà definitivamente.

Ma in cosa consiste la regalità di Gesù?

Sono differenti nei vangeli le accentuazioni che si danno di Gesù in merito alla sua Passione. Nei Vangeli sinottici (Mt, Mc, Lc) il patire di Gesù verso il Calvario è sinonimo di supplizio, nel Vangelo secondo Giovanni (ultimo per composizione) tutto questo viene trasformato in segno di regalità: la corona di spine, la tunica scarlatta, l’iscrizione posta sulla croce, tutto manifesta la gloria di Cristo, specialmente la croce che ora assume le sembianze di trono glorioso dal quale Gesù dà inizio alla comunità dei salvati. Afferma Madre Speranza nei suoi scritti: “Ecco il Salvatore del mondo, Re del cielo e della terra, intimamente congiunto alla croce, per nostro amore, con vincoli indissolubili di mistiche nozze per una morte crudele che gli stessi romani, gente spietata e senza cuore, considerano il più atroce e orribile genere di morte”.

È curioso notare come anche l’arte nei secoli ha respirato il percorso pedagogico fatto dagli stessi evangelisti tant’è che se inizialmente la croce veniva concepita come lo strumento che portò Cristo alla morte, ha poi acquisito un valore glorioso poiché rappresenta la croce che ha recato all’uomo la salvezza. Dice san Paolo: “La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 18.22-24).

Tale gloria regale non si esaurisce sulla croce ma prosegue nella sua risurrezione. Morte e risurrezione formano un unico evento di salvezza. La stessa morte di Gesù non sarebbe un evento salvifico senza la resurrezione.

La corona regale issata sul globo che sorregge la croce nell’immagine dell’Amore Misericordioso ricorda che Cristo è il Re della gloria (come riporta la scritta che incornicia il cuscino sottostante la corona), è un Re che regna dalla croce perché, attirandoci alla sua Presenza con la sua morte e risurrezione, ha aperto a noi le porte del Regno dei cieli. Gesù Amore Misericordioso vuole regnare sul mondo portandolo all’amore.