FESTA DEL SANTUARIO DELL’AMORE MISERICORDIOSO

Omelia di S.E.R. Mons. Domenico Battaglia
Arcivescovo di Napoli
Collevalenza, 24 settembre 2023

S. Ecc.za Mons. Domenico BattagliaSorelle e fratelli carissimi,
buona domenica e buona festa! Permettetemi di dirvi che sono molto contento di essere qui in mezzo a voi questa mattina e di condividere con voi questo momento di festa. È la festa del Santuario ma è festa anche perché ci ritroviamo tutti insieme intorno alla Mensa Eucaristica per ascoltare la Parola che dona senso e direzione ai nostri passi, per spezzare il Pane che dona pienezza alla nostra vita.

Ma, prima di potermi addentrare un po’ di più nelle letture che abbiamo ascoltato e in quello che, secondo me, vuol dire celebrare la festa dell’Amore Misericordioso, vorrei ringraziare il Vescovo Gualtiero, il Vescovo emerito Domenico e tutta la famiglia dei Figli e delle Ancelle dell’Amore Misericordioso per avermi invitato e permesso di essere qui.

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato è inserito in un trio di piccole storie narrate da Gesù, parti di un solo racconto che rivela l’amore incondizionato di Dio, la sua gioia per ogni uomo e ogni donna che fa ritorno a casa, riappropriandosi della dignità di figli amati. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del Vangelo. Sale dal loro fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che potevamo ricevere. C’era come una sintonia misteriosa tra Gesù e i peccatori, un cercarsi reciproco che scandalizzava scribi e sacerdoti. Gesù allora spiega questa amicizia con tre parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta, una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde. Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova. La nostra vita è fatta di continui ricominciamenti. E ricominciare è sempre possibile perché l’amore non finisce mai, anzi, ricomincia sempre. Abbiamo ripetuto nel salmo: “Il
Signore è buono e grande nell’amore”.

E ci lasciamo travolgere e sconvolgere da questo padre che non si dà pace per il figlio perduto… Ed è ancora e sempre vera la beatitudine più difficile di tutte: beato colui che non si scandalizza di me.

Io non so se posso dirvi di non essere uno scandalizzato di Cristo. Perché ciò sia vero, bisognerebbe che noi fossimo certi di avere accettato il Cristo: sentire come ha sentito Cristo; giudicare, ad esempio, quanti noi diamo per perduti, alla maniera di come li giudicava lui; pensare di Dio quello che lui pensava: un Dio uguale al padre del prodigo, un Dio che non condanna, un Dio che ci lascia perfino sbagliare e poi ci attende, dopo lo sbaglio, senza neppure chiederci il conto del nostro tradimento; un Dio che fa festa perché un uomo si è salvato. L’avventura del più giovane dei figli è una seduzione continua, una provocazione e insieme una paura, la paura di perdere Dio.

Un padre che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota. Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa nulla di tutte le scuse che ha preparato quel figlio.

È la nostra parabola. Il prodigo è il fratello di tutti, una presenza che ci insegue da sempre. È la parabola dell’inquieto. Chi cerca il Regno di Dio è un eterno inquieto. Non possiamo nasconderci la verità della nostra storia: siamo prodighi tutti, tutti gente che sperpera, gente che sogna, che tenta ed è tentata ogni giorno; gente che sbatte le porte e se ne va tutti i giorni: le porte della sua fedeltà, le porte sbattute in faccia ai propri doveri.

L’importante è riconoscerlo e più importante ancora è che Dio mi ama nonostante tutto, e continua ad amarmi, mentre io continuo ad essere tale. Dio che si ostina ad amare. È la condizione dell’uomo. Che, se non è sulla linea del prodigo, è nella condizione dell’altro, del fratello maggiore, di quello che è sempre ai campi e che non si accorge neppure di avere un fratello. Questo maggiore che pensa solo agli interessi e a null’altro, che fa tutto in vista del capretto, anche lui peccatore come tutti. Gente che ha sempre qualcosa da dire, che non perdona neppure a suo padre, perché anche il Padre Eterno non dovrebbe permettere certe cose. Atteggiamenti che si ritrovano anche nella stessa Chiesa di Dio: parlo della Chiesa mormorante, di una Chiesa sempre scandalizzata di tutto e di tutti, è la Chiesa del fratello maggiore. E allora non c’è che scegliere e dire a te stesso, onestamente chi dei due più ti rappresenta, in quale di essi tu ti senti più rispecchiato. Il giovane, da lontano ricorderà il padre, la casa, i servi, ricorderà l’abbondanza e le feste e il pane, ma non ricorderà mai il fratello. E neppure una parola o un segno da parte di costui verso il minore. A cosa porta l’incomunicabilità tra fratelli in una casa. In tutta la parabola i fratelli non si incontreranno mai. E l’uno chiede la sua parte in
contrapposizione all’altro. Mai che uno abbia un ricordo dell’altro. Quante volte nella Chiesa ci ritroviamo nella stessa condizione di questi due figli, quella che per alcuni diventa fuga e per altri corsa ai tanti “vitelli grassi”.

Carissimi fratelli e sorelle, questo vangelo del Vangelo è oggi consegnato a ciascuno di noi: non abbiate timore di sprecare la misericordia di Cristo, spargetela affinché ciascuno possa sperimentarsi figlio amato, affinché ciascuno possa percepire la generosità e la gratuità dell’amore del padre che dice ai suoi figli: “tutto ciò che è mio, è tuo”. È una delle più grandi pagine della misericordia, cioè del cuore di Dio che scoppia, perché è di Dio amare in silenzio, amare all’infinito. Amare e basta. E l’amore del Padre non è commisurato ai meriti dei figli, sarebbe amore mercenario. Non si misura su di un capretto, c’è molto di più, tutto: è lo stupore dell’immeritato.

Perciò amate senza attendere ricompensa, donate per la gioia di donare e senza nulla attendere in contraccambio. State con Gesù, dimorate in lui; è lo stare in ginocchio davanti al Signore che ci consente di stare in piedi nella vita. Nelle difficoltà, negli ostacoli, nelle tribolazioni che le vicende dell’esistenza vi procurano, non smettete di guardare a Lui, di affidarvi a Lui.

Scriveva Madre Speranza nel suo Diario: ” Questa notte l’ho trascorsa col buon Gesù: mi sono raccolta un po’ per pregare e la notte è trascorsa senza accorgermi. Gesù mi ha detto che quanto più mi eserciterò nella virtù della carità, tanto più cresceranno in me i sentimenti di pietà che sgorgano con facilità da un cuore che già vive l’amore di Dio, ed è questo che fa vedere la bellezza, la bontà e l’infinita misericordia di Dio”. Chi vi incontra possa scorgere nel vostro volto, nei vostri occhi, in quanto dite e fate i tratti della sua misericordia. La misericordia è il profumo di Dio.

Ha un volto la misericordia? Ho vissuto tanti anni a cercare volti. Soprattutto volti. Ancora cerco volti. Mi interessano i volti. Volti da guardare, rispettare, accarezzare… Ha un volto la misericordia? Il suo volto, la sua identità, la sua passione è guardare, rispettare, accarezzare i volti. Senza esclusioni. È immergersi nella concretezza di un volto e perciò di una storia, imparando dalla fragilità che è maestra di umanità. A convertirti è la tenerezza che pulsa nello sguardo dell’altro. Che non ti guarda dall’alto in basso. Anche questa è mistificazione della misericordia. Misericordia non è far piovere dall’alto una sorta di compassione. Non è questa la misericordia di Dio. Che va invece a
riconoscere e a scommettere sulla bellezza che è in te. Dio ti riconosce dignità vestendoti.

Lo fece con Adamo ed Eva, lo abbiamo ascoltato oggi nel sentire Gesù narrare di un padre che fece una festa da sogno per il figlio che se n’era andato e lo vestì dell’abito più luminoso. La misericordia è un fatto di grembo e di mani. Dio perdona non con i decreti ma con una carezza.

Riprendo ancora dagli scritti di Madre Speranza: “Il Buon Gesù mi ha detto che io devo darmi da fare perché gli uomini lo conoscano, non come un Padre offeso dalle ingratitudini dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà, che cerca con tutti i mezzi il modo di confortare, aiutare e rendere felici i suoi figli, un Padre che li segue e li cerca con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di loro”.

Le bilance di Dio non pesano i peccati, ma l’amore. Fare nostri gli occhi di Gesù. Guardare il mondo con lo stesso sguardo. Che sa intuire amore lì dove altri vedono solo peccati. Che si posa sul buon grano dove altri temono la zizzania. Sguardo proteso verso il futuro. Lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura: “Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore”.

Vi auguro, allora, di poter essere il volto di una Chiesa che sia come la casa del Padre: una casa sempre aperta. Una casa in cui si sperimenti la libertà di poter andar via, ma anche e soprattutto la bellezza di sentirsi accolti sempre. Un luogo in cui si apprenda l’arte di camminare insieme, con uno stile sinodale, nella condivisione delle gioie e delle speranze, dei dolori e dei fallimenti di chi cammina con noi. Una Chiesa che sia casa per molti e madre per tutti.

E concludo, ancora con Madre Speranza: “Grazie Amore Misericordioso, perché da te ho imparato che Dio è Padre… ho sperimentato che Dio è misericordia… ho gustato che Dio è dono… ho assaporato che Dio è bellezza… è ringraziare Dio ogni mattina perché mi ha regalato la vita”.
E, ricordate, dice il Signore: “Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”. Non si dimentica di nessuno dei suoi figli il Signore. Lui, che continua a cercarci. Lui, che guarda l’orizzonte e ci viene incontro quando ci vede tornare. Lui, il custode innamorato di ogni nostro più piccolo frammento.

Buona festa, fratelli e sorelle. Buon cammino a tutti voi!